…e soprattutto, quanto tempo avrò per recuperare il tempo perso?
Ma il prof mica mi chiederà all’esame gli argomenti che non ha affrontato in quelle tre settimane perse? E come recueperò, nella finestra d’esami, queste tre settimane di ritardo? Domande legittime. Che uno studente medio si pone quando si trova inserito in un sistema competitivo come quello che ha portato all’attuale configurazione delle strutture universitarie italiane. E che gli impone il rispetto di una sola variabile di controllo: il tempo. La velocità con la quale si arriverà al “pezzo di carta”.
Ma non si può pensare che la media studentesca si attesti su questi livelli. Mi sarei aspettato qualche domanda un po’ più profonda, contestuale, intellettuale. Del tipo: “Scusi prof, ma lei per cosa sta protestando? Qual è il nodo della discussione? Cosa volete ottenere da questa protesta?”… e avrei anche accettato accuse del tipo “ma quando noi studenti (pochi, a dire il vero) protestavamo due anni fa, voi dove eravate?”.
Bene, tutti questi sono elementi sui quali dovremmo essere portati a riflettere. Ma mentre il corpo docente è in possesso di informazioni complete su quanto sta accadendo, lo studente, evidentemente, non conosce (giustamente, dico io) alcuni di quei meccanismi lavorativi che hanno portato a questa situazione di disagio per la maggior parte degli atenei italiani.
Poche e semplici battute per riassumere la situazione e provare ad aprire un dibattito: il corpo docente, così come da legge, è costituito da professori ordinari e professori associati. Si diventa tali dopo regolare concorso pubblico. E la legge impone l’erogazione di didattica frontale. Si diventa professori dopo ovvia gavetta universitaria che generalmente consta dei seguenti passaggi: dottorato di ricerca, periodo variabile di precariato (assegni o altro) e poi ricercatore universitario. Il ricercatore universitario rientra in quella categoria che in Italia viene etichettata come “posto fisso”. Perché una volta diventato ricercatore, lo sei a tempo indeterminato. A meno che non fai il concorso da associato! Ed in questo frangente, cioè finche sei ricercatore, la legge non ti obbliga a fare corsi.
Ora, veniamo al dunque. L’attuale decreto Gelmini si pone nel solco di distruzione dell’Università pubblica che ha mosso i suoi primi passi dal dopo Berlinguer. E che con i primi tentativi di attacco delle Moratti e la soporifera gestione Mussi poi, è giunta alla cara Gelmini. Che attenzione: ha scritto una riforma dell’Università che mira ad un miglioramento del nostro sistema. Perché isitutisce alcune forme di governo orientate a garantire maggiore meritocrazia e declino delle baronie e delle cosiddette raccomandazioni.
E che instaura la figura del ricercatore non più a tempo pieno bensì a tempo determinato (circa 6 anni, non entro nel merito della formula). Ora, uno dei punti della questione è il seguente: tale figura di ricercatore a tempo determinato verrà, a conclusione del suo periodo di attività, valutato. Valutato in che senso? Necessaria altra digressione. Quando vi dicevo che il ricercatore non ha obblighi di didattica, ho omesso di dire quali obblighi ha: deve promuovere nuove forme di esercitazioni per gli studenti, deve garantire supporto agli stessi studenti ad esempio per le tesi di laura. E deve fare ricerca. Che significa “fare ricerca”? Significa che deve documentarsi su quanto si sta facendo, nel mondo, in merito ad una determinata area di ricerca. Per esempio, se io lavoro allo sviluppo di modelli che mirano ad aiutare le aziende ad incrementare i profitti attraverso le innovazioni dei prodotti, devo capire nel mondo chi ha scritto qualcosa in questo senso, e devo quindi proporre qualcosa di nuovo. Ma come faccio a far sapere al mondo le cose che io sto facendo? Le scrivo (ovviamente in lingua inglese) e chiedo ad una determinata rivista di pubblicare il mio articolo o la presento ad un convegno. La rivista, ovviamente, valuta la qualità del mio elaborato, e poi decide se pubblicarlo. Bene, in base al numero di pubblicazioni (o anche brevetti, ad esempio) che io ho, viene valutata la mia capacità produttiva. E sulla base della mia capacità produttiva, verrà stabilito se dopo i sei anni di ricercatore a tempo determinato posso essere promosso a professore associato. Attenzione, promosso non significa che divento “professore associato”. Significa che sono abilitato ad esserlo, ma poi la specifica università dovrà avere i soldi per “chiamarmi” a coprire il ruolo di associato.
E fin qui, siamo d’accordo. Ma per i ricercatori che hanno prestato servizio fino ad ora? Che hanno fatto più di quanto loro era richiesto dalla legge? Cosa succede? Accederanno anche loro a questi processi di valutazione? Per ora, no. Il decreto non dice niente. E niente vuole dire! A meno di emendamenti che stanno discutendo e discuteranno in futuro.
Questa è una delle tante motivazioni che hanno spinto i ricercatori a protestare. Perché formalmente significa demotivare quanto fatto fino ad oggi perché non c’è garanzia di un futuro lavorativo.
Poi, se a questo aggiungiamo la stangata che la finanziaria ha previsto per le Università, il quadro comincia a diventare sempre più completo. Tagli ai fondi destinati alle Università per il loro normale funzionamento (FFO, Fondo di Finanziamento Ordinario), taglio degli scatti di anzianità per tutti, docenti e non.
A questo punto, i ricercatori hanno dimostrato che l’offerta formativa di una Facoltà si basa anche sul loro contributo. Ed il motivo per il quale molti esami sono stati “spostati” al secondo semestre e viceversa dipende dal fatto che quegli stessi corsi, precedentemente fatti dai ricercatori, sono ora scoperti. E probabilmente lo saranno anche nel secondo semestre!
C’è un filo di speranza in tutto questo? Dal mio personale punto di vista, se non c’è un Governo in grado di fare una programmazione basata sui numeri e sui calcoli, potranno fare tutti i decreti che vogliono. Ma senza risorse destinate, nulla è applicabile! Ed i risultati, garantito, non arriveranno mai!
[Pierluigi Rippa – docente di economia ed organizzazione aziendale, Ingegneria Federico II]