Dall’ultima indagine elaborata dal centro studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri emerge che, al contrario degli altri corsi universitari, la formazione universitaria ingegneristica “tiene” e registra anzi una crescita continua di immatricolati e laureati.
Al contempo appare chiara una maggiore difficoltà di accesso al mondo del lavoro, dovuta certamente al difficile contesto economico ma anche agli alti costi di accesso alla professione.
Nonostante ciò, la condizione occupazionale degli ingegneri si rivela ancora una volta decisamente migliore rispetto ad altre categorie professionali.
La formazione degli Ingegneri
I corsi universitari non attraggono più come nei primi anni 2000, la quota di diplomati delle scuole superiori che si sono iscritti ad un corso universitario è infatti crollata, nell’anno accademico 2011/12, al 60,9%, nuovo valore minimo mai registrato finora. Si assiste dunque ad una progressiva e costante fuga dall’università.
La formazione universitaria ingegneristica però è in controtendenza : non solo resiste in termini di iscritti ma registra anche una crescita continua di immatricolati e di laureati. Ingegneria si appresta quindi a diventare la prima facoltà per numero di immatricolati: 38.446 nell’ anno accademico 2011/2012, contro i 38.161 dell’anno accademico precedente.
Anche se ormai non fa più notizia, si rafforza ancora una volta la componente femminile tanto che tra i futuri ingegneria circa un immatricolato su quattro è di sesso femminile. Se dovesse proseguire il trend in atto, si potrebbe raggiungere entro pochi anni anche all’interno della facoltà di ingegneria la parità tra maschi e femmine, “momento” peraltro già ampiamente superato nelle altre facoltà considerato che nell’anno accademico 2011/2012 il 57% degli studenti universitari è di sesso femminile. Sostanzialmente invariata, rispetto agli scorsi anni, la quota di studenti che consegue il titolo (di primo livello) oltre i termini: circa i due terzi, valore elevato (si consideri che i corsi hanno una durata di tre anni), che offre una ennesima conferma dell’inutilità del titolo di primo livello quale antidoto alla “lungopermanenza” all’interno dell’Università.
I motivi del successo riscosso dalle facoltà di Ingegneria sono molteplici: la qualità degli studi, che, pur nel processo di riordino dei cicli universitari, si mantiene sempre su alti livelli di qualificazione, svolge sicuramente un ruolo primario, ma forse i giovani sono attratti soprattutto dalla grande quantità di possibilità occupazionali che il titolo ingegneristico offre anche in una fase congiunturale negativa come quella che sta attraversando il nostro paese. Le indagini sul tema evidenziano come l’accesso al mercato del lavoro per un laureato in ingegneria sia caratterizzato da tempi di inserimento molto rapidi, basso tasso di disoccupazione, stipendi interessanti a pochi anni dalla laurea (anche per i laureati triennali). I motivi del successo riscosso dalle facoltà di Ingegneria sono molteplici: la qualità degli studi, che, pur nel processo di riordino dei cicli universitari, si mantiene sempre su alti livelli di qualificazione, svolge sicuramente un ruolo primario, ma forse i giovani sono attratti soprattutto dalla grande quantità di possibilità occupazionali che il titolo ingegneristico offre anche in una fase congiunturale negativa come quella che sta attraversando il nostro paese. Le indagini sul tema5 evidenziano come l’accesso al mercato del lavoro per un laureato in ingegneria sia caratterizzato da tempi di inserimento molto rapidi, basso tasso di disoccupazione, stipendi interessanti a pochi anni dalla laurea (anche per i laureati triennali).
I costi di accesso alla professione
Un giovane neolaureato in ingegneria che volesse intraprendere la libera professione deve mettere in preventivo, per l’avviamento della stessa, una spesa media di 1.713€ tra esame di Stato per l’abilitazione alla professione, iscrizione all’albo e primi versamenti all’ente previdenziale. Di fronte ad un tasso di successo all’esame di abilitazione alla professione di ingegnere che rimane prossimo al 90%, l’ostacolo più consistente all’accesso alla professione di ingegnere è, quindi, di natura economica.
– Primo passo: esame di stato.
Per poter sostenere l’esame di Stato il neo laureato è tenuto innanzitutto al versamento di una somma pari a 49,58€ all’Agenzia delle Entrate quale “tassa di ammissione agli esami di abilitazione”. Inoltre, c’è ovviamente da versare un contributo all’ateneo in cui viene sostenuto l’Esame, contributo che varia sensibilmente tra ateneo e ateneo: si va infatti dai 60€ dell’Università della Basilicata ai 450€ dell’Università di Milano Bicocca1. Una volta conseguito il titolo abilitante, è previsto il versamento di una tassa di abilitazione a vantaggio della regione o provincia autonoma in cui è stato sostenuto l’esame.
– Secondo passo: iscrizione all’albo.
Una volta conseguito il titolo abilitante, per poter svolgere la libera professione è necessario iscriversi all’albo degli ingegneri ed anche in tal caso sono previste delle spese. Innanzitutto c’è da versare la somma di 168€ per la Tassa di Concessione Governativa.
Quindi c’è la quota di iscrizione all’albo che varia sensibilmente non solo tra i diversi ordini, ma anche all’interno del singolo ordine poiché in diversi casi sono previste agevolazioni ad esempio per i giovani neolaureati o per le donne in attesa o per gli ultra 70enni e l’importo può inoltre variare anche in base al mese in cui è stata effettuata l’iscrizione.
– Terzo passo: iscrizione ad Inarcassa.
Una volta iscritto all’Albo e aperta una partita IVA, il professionista è obbligato all’iscrizione ad Inarcassa (qualora non sia già iscritto ad altro ente previdenziale). Trattandosi della prima iscrizione, il professionista è tenuto al versamento delle quota minima che per gli ingegneri con meno di 35 anni è pari a 1.038€, mentre per coloro con più di 30 anni è pari a 2.978€. Negli anni successivi l’importo dei versamenti sarà calcolato sulla base del reddito dichiarato.
La condizione occupazionale dei laureati in ingegneria in Italia
Dopo un 2011 all’insegna della “resilienza”, i laureati in ingegneria cominciano a sentire gli effetti della congiuntura negativa: il tasso di disoccupazione che nel 2011, in assoluta controtendenza rispetto alle altre categorie professionali, era addirittura diminuito rispetto all’anno precedente, torna ad aumentare e raggiunge il 4,4%, secondo valore più elevato toccato negli ultimi 7 anni.
Non solo.
Oltre ad aumentare la quota di persone in cerca di lavoro, risulta in crescita anche la fetta di popolazione che scoraggiata dalla situazione contingente, ha abbandonato (momentaneamente o definitivamente) la ricerca di un’occupazione: 20,8% contro il 19,7% del 2011.
La conseguenza è che sul territorio nazionale vi sono complessivamente nel 2012 circa 16mila ingegneri in più di quanti richiesti dalle imprese.
E per la prima volta il saldo occupazionale è negativo in tutte le aree geografiche: anche le imprese del Nord-Ovest, infatti, da sempre particolarmente ricche di possibilità occupazionali, risentono della crisi e se fino allo scorso anno la domanda di competenze ingegneristiche superava la disponibilità di professionisti sul territorio, nel 2012 si registrano circa 3.000 posti in meno rispetto al numero di ingegneri disponibili. Particolarmente critica, ancora una volta, la situazione nelle regioni meridionali dove il surplus di ingegneri sfiora gli 8mila individui.
E’ vero che la condizione occupazionale degli ingegneri si rivela ancora una volta decisamente migliore rispetto ad altre categorie professionali, ma è pur vero che i risultati siano meno brillanti rispetto agli anni precedenti.
La flessione in atto non è tuttavia omogenea su tutto il territorio nazionale: mentre nelle regioni del Nord Italia il tasso di occupazione dei laureati ingegneria passa dall’81,9% del 2011 all’80,2% del 2010, il quadro assume contorni più negativi nelle regioni del centro Italia, in cui la quota di occupati passa da quasi il 78% del 2011 al 72,2% del 2012. Quasi inaspettatamente, al contrario, nelle regioni del sud Italia, la situazione appare migliore rispetto agli anni precedenti, visto che il tasso di occupazione risulta in aumento: 68,8%, valore comunque inferiore rispetto alle altre aree, ma pur sempre migliore del 67,4% rilevato l’anno precedente. La situazione resta, rispetto al 2011, sostanzialmente stabile per quanto concerne la distribuzione tra occupati alle dipendenze e lavoratori autonomi, con una netta predominanza dei primi: quasi 3 ingegneri su 4 infatti lavora in qualità di dipendente presso un ente pubblico o una azienda privata. Il divario aumenta, come prevedibile, nelle regioni settentrionali (76,5% di dipendenti contro il 23,5% di autonomi), mentre si riduce sensibilmente nelle regioni meridionali (in tal caso la quota di lavoratori autonomi sfiora il 35%). Lo scenario non evidenzia particolari mutamenti rispetto al 2011 neanche per ciò che concerne la distribuzione tra occupati nel settore industriale e nel terziario, con questi ultimi che si mantengono su una quota che si aggira intorno al 60%. Ma anche in questo caso il quadro cambia radicalmente tra nord e sud Italia: mentre infatti nelle regioni settentrionali il 47,4% dei laureati in ingegneria occupati lavora nel settore industriale, nel resto d’Italia la corrispondente quota si riduce sensibilmente, aggirandosi intorno al 28%.
POPOLAZIONE CON TITOLO ACCADEMICO IN INGEGNERIA (2004 – 2012) [v.a. in migliaia di unità]
TASSO DI OCCUPAZIONE POPOLAZIONE CON TITOLO ACCADEMICO (2004 – 2012)
[FONTE: Centro Studi – Consiglio Nazionale Ingegneri]